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Febbraio 2018

La ragione che non convince

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Colgo ancora spunto dalla politica, per parlare di psicologia, comunicazione e non solo. Lo faccio prendendo come riferimento uno spot elettorale appena pubblicato dal Partito Democratico.

Prima di andare oltre nella lettura vi invito a guardarlo (lo trovate qui sopra) e poi vi aspetto per parlarne. Buona visione

Visto? Bene, iniziamo dunque con un’analisi che origina da un quesito: a chi si rivolge il PD in questo spot?

Alla famiglia italiana medio reddito dedita al lavoro, questo è evidente:

  • madre con reddito inferiore ai 24.600 €, altrimenti gli 80€ non li piglierebbe;
  • automobile non lussuosa ma dignitosa;
  • abbigliamento ordinato e cura dell’aspetto (la madre nello spot addirittura si trucca);
  • padre con le maniche rimboccate.

Alla famiglia di cultura medio alta e attenta a valori progressisti:

  • tutti pronti (fuorché il padre) a snocciolare informazioni;
  • figlia presumibilmente laureata e certamente precaria (spesso i co.co.pro sono stati usati per incarichi a neo laureati);
  • figlio un po’ nerd, diciamolo, molto smart e molto tech, attento ai numeri più degli altri;
  • madre e padre storicamente attenti ai diritti civili (fin da quando erano fidanzati, forse negli anni ottanta a giudicare le età);
  • in famiglia c’è una zia omosessuale (è vero questa è una mia ipotesi, ma perché altrimenti sottolineare il fatto della commozione del padre? Io immagino, e non penso solo io, perché si voglia sottolineare la conquista sociale, e quindi la lotta e la sofferenza per ottenere quel risultato).

Ma chi, tra tutti, deve essere persuaso? Quale tipo di elettore? Il padre.
Nello stereotipo, lo si potrebbe vedere come il capofamiglia che guida, maschio, poco informato e in cerca di cose concrete, poco smart e ancora meno tech, che ha lasciato ormai andare le passioni che lo hanno scaldato da giovane. Ma chi sia  di preciso quest’individuo da convincere non si sa bene: si tratta di un abbozzo che a mio avviso denota poca chiarezza di idee.
In ogni caso è un ex: ex elettore, ex persuaso, ex militante forse. Non è certamente uno nuovo, anzi. Si cerca, quindi, di riconquistare i vecchi voti persi, non di allargare il bacino. Questa è un’implicita ammissione di crisi. Non bastavano, infatti, i sondaggi e le diaspore ad evidenziare il calo di consensi, doveva essere lo stesso PD a certificarlo da sé, rivolgendosi esplicitamente all’elettorato disilluso, molto disilluso (“Comunque stavolta il PD non lo voto“).
E per convincere un cuore disilluso che si fa? Certamente non si fa l’elenco ragionato di tutte le cose che abbiamo fatto da quando stiamo assieme!

Ma questo è l’errore tipico dei progressisti, già evidenziato da Lakoff, i quali seguono il riflesso illuministico per cui si ritiene che basti fornire informazioni razionali (fatti e cifre) affinché le persone possano scegliere il candidato migliore. Se, a fronte di ciò, la persona non fa la scelta giusta, allora è un povero qualcosa (aggiungete voi l’epiteto che gradite).

Quest’idea, però, contrasta con quanto in più occasioni è stato evidenziato in psicologia, ovvero che nella presa di decisioni la pesatura razionale di fatti e opinioni incida in misura assai minore rispetto all’impatto emozionale che le comunicazioni possono avere sull’individuo, spesso a livello subcosciente. Ogni processo decisionale, infatti, incorpora modalità di pensiero non lineare, spesso basato su procedimenti euristici di selezione delle informazioni che poco hanno a che vedere con la cosiddetta razionalità (a tal proposito sono stati illuminanti gli studi di Daniel Kahneman, psicologo premio Nobel per l’economia nel 2002). Risulta, piuttosto, assai più efficace evocare dei concetti, dei quadri di riferimento (cosiddetti frame) che abbiano un impatto sull’immaginario delle persone e sulla loro dimensione affettiva ed emozionale (consiglio qui la lettura di “Non pensare all’elefante” di George Lakoff, tra i più noti linguisti viventi e tra i fondatori della linguistica cognitiva), oppure suggerire delle direzioni d’azione senza prescrivere perentoriamente un comportamento (qui invece consiglio “Nudge. La spinta gentile” di Richard H. Thaler, basato su ricerche in psicologia ed economia comportamentale che sono valse all’autore il Nobel per l’economia 2017).

Comunque, a dimostrare ingenuamente e inconsapevolmente quanto affermato riguardo l’inefficacia di certe strategie, ci pensano gli stessi autori dello spot che alla fine fanno dire ad un padre stizzito: “Basta, comunque il PD non lo voto!”.

E allora che si fa? Qui la ciliegina sulla torta è un bell’appello alla coscienza del padre condito con una fallacia ad autoritatem* in cui Renzi in persona dice: “Pensaci, dai!”. L’effetto però è misero e fa credere che sotto sotto il pensiero sia: “Non ci spero molto, ma mi affido alla tua responsabilità. Vedi tu…”. Ma dopo il dolce vogliamo farci mancare il digestivo? No. Infatti, per mandar giù tutto, il video si chiude con una non molto velata supplica: “Non fermiamoci proprio adesso!”.

A tutti può capitare di essere in crisi, si tratti di un partito, di un’azienda o di una famiglia, ma è proprio in quei momenti che sarebbe bene evitare di tirarsi pure la zappa sui piedi, comunicando in modo sbagliato con le persone che ci stanno a cuore.

Daniele Baron Toaldo Read More

IV. Scusate ancora

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Lasciatemi dire un’altra cosa, e poi basta.

Non voglio offendervi. La vostra coscienza, voi dite. Non volete che sia messa in dubbio. Me n’ero scordato, scusate. Ma riconosco, riconosco che per voi stesso, dentro di voi, non siete quale io, di fuori, vi vedo. Non per cattiva volontà. Vorrei che foste almeno persuaso di questo. Voi vi conoscete, vi sentite, vi volete in un modo che non è il mio, ma il vostro; e credete ancora una volta che il vostro sia giusto e il mio sbagliato. Sarà, non nego. Ma può il vostro modo essere il mio e viceversa?

Ecco che torniamo daccapo!

Io posso credere a tutto ciò che voi mi dite. Ci credo. Vi offro una sedia: sedete; e vediamo di metterci d’accordo.

Dopo una buona oretta di conversazione, ci siamo intesi perfettamente.

Domani mi venite con le mani in faccia, gridando:

«Ma come? Che avete inteso? Non mi avevate detto così e così?»

“Così e così, perfettamente. Ma il guaio è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio.

Abbiamo creduto d’intenderci, non ci siamo intesi affatto.

Eh, storia vecchia anche questa, si sa. E io non pretendo dir niente di nuovo. Solo torno a domandarvi: «Ma perché allora, santo Dio, seguitate a fare come se non si sapesse? A parlarmi di voi, se sapete che per essere per me quale siete per voi stesso, e io per voi quale sono per me, ci vorrebbe che io, dentro di me, vi dessi quella stessa realtà che voi vi date, e viceversa; e questo non è possibile»

Ahimè, caro, per quanto facciate, voi mi darete sempre una realtà a modo vostro, anche credendo in buona fede che sia a modo mio; e sarà, non dico; magari sarà; ma a un “modo mio” che io non so né potrò mai sapere; che saprete soltanto voi che mi vedete da fuori: dunque un “modo mio” per voi, non un “modo mio” per me.

Ci fosse fuori di noi, per voi e per me, ci fosse una signora realtà mia e una signora realtà vostra, dico per se stesse, e uguali, immutabili. Non c’è. C’è in me e per me una realtà mia: quella che io mi do; una realtà vostra in voi e per voi: quella che voi vi date; le quali non saranno mai le stesse né per voi né per me.

E allora? Allora, amico mio, bisogna consolarci con questo: che non è più vera la mia che la vostra, e che durano un momento così la vostra come la mia. Vi gira un po’ il capo? Dunque dunque… concludiamo.

Passo di Luigi Pirandello tratto da “Uno, nessuno e centomila”

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