Chi la fa, l’aspetti!

Questo proverbio italiano ha un significato molto chiaro: chi mette in atto azioni negative, riceverà altrettante azioni che lo faranno soffrire. L’invito quindi è quello di comportarsi in modo corretto al fine di evitare rivendicazioni e vendette dagli altri. 

Il proverbio ha un significato pro sociale che invita alla benevolenza reciproca per evitare di perpetuare la cattiveria. Il motto può essere visto infatti come una ruota senza fine, alimentata dalla vendetta. In tal modo colui che riceve un’ingiustizia tenderebbe a metterne in atto un’altra, da restituire al mittente che, a sua volta, si sentirebbe autorizzato a restituire nuovamente un altro torto e via così.

Nell’ambito della psicologia, in questi ultimi anni, si sta sviluppando un nuovo filone: la “psicologia della gentilezza”. Gentilezza è una parola che abbraccia vari sentimenti quali la generosità, l’altruismo, la compassione, la pietà, la solidarietà, il perdono…

Spesso la poca gentilezza la si riscontra anche negli ambienti di lavoro, in famiglia o con persone care, in luoghi dove passiamo la maggior parte del nostro tempo di vita. Vivere rapporti logori di gentilezza significa stare per molto tempo in un clima di sfiducia, tensione, allerta, stress.

E, quindi, come si può essere più gentili?

Un primo passaggio può essere quello di provare a mettersi nei panni degli altri. Sembra scontato e semplice ma non lo è per nulla. Proviamo, di fronte ad un torto subito o a rispostaccia, a immaginare quali possano essere le motivazioni che hanno spinto l’altro a comportarsi in quel modo. Oppure, osserviamo noi stessi per verificare se la nostra comunicazione, verbale e non, non sia stata di attacco, tale da mettere l’altro in una posizione difensiva. Ad esempio, in famiglia o  nel comunicare con i propri figli, chiediamoci: “questa risposta l’avrei data ad uno sconosciuto?”. Se la risposta è no, probabilmente quella risposta non è gentile. Spesso nei colloqui tra coniugi o tra genitori e figli adolescenti si osserva come la comunicazione sia ricca di svalutazioni e stigmatizzazioni dell’altro. Questo di sicuro allontana entrambi le parti dal ben stare e dall’essere gentili l’uno verso l’altro.

Un altro passaggio può essere quello di partire da una visione fiduciosa dell’altro. Se uno dei motti che guida la mia vita è “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” o tendo a vedere secondi fini nelle azioni degli altri, sarà molto difficile che riesca a riconoscere atti di gentilezza nei miei confronti e ancor più che riesca a metterne in atto. La gentilezza è in sé un valore gratificante per cui non metto in atto un certo comportamento per ricevere gratitudine o una gentilezza reciproca. Diventa quindi irrilevante che anche “l’altro sia gentile con me”. Lo sono io!

E qui mi collego con un altro passaggio che può favorire la gentilezza: il comunicare in modo gentile. Quando io mi relaziono con una persona, tanto più se in modo stabile, ad esempio in famiglia o al lavoro, per poter migliorare quella relazione posso agire solo su di me, non posso pretendere che l’altro cambi. Non ho questo potere! Il potere lo posso avere su di me e  cambiando me posso favorire il cambiamento dell’altro. 

È come se fossimo legati da un’unica corda a distanza fissa. Come posso far muovere l’altro dalla sua posizione? Mi muovo io e così facendo favorisco anche il suo movimento. Proviamo noi per primi a porci in modo fiducioso, garbato, generoso e disponibile verso l’altro e poi…vedremo che succederà. Noi saremo comunque felici del nostro modo di essere stati con l’altro.

Riassumendo, la gentilezza può essere difficile da mettere in atto perché spesso si è scordato cosa significhi e come possa renderci la vita migliore. Ricordiamo che la gentilezza non prevede nulla in cambio. Proviamo! Cerchiamo ogni giorno di fare un atto di gentilezza, piccole cose: un saluto, un grazie, offrire un caffè, aprire la porta a qualcuno, lasciare il posto a sedere, offrire l’ultima fetta di torta 😉 e ascoltiamoci.

E  chissà che il circolo da vizioso non si trasformi in virtuoso per cui “chi la fa, l’aspetti” abbia un nuovo significato positivo.

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