È un ovale oppure un cerchio?

L’ambiguità comportamentale è forse una delle forme più diffuse ed efficaci per indurre nelle persone, di solito involontariamente, stati di malessere, ansia, paura, aggressività e depressione, sia al lavoro che in famiglia.

Il primo ad accorgersene fu Ivan Pavlov, medico ed etologo russo, che a cavallo tra otto e novecento con i suoi studi sul condizionamento gettò le basi della psicologia sperimentale. Egli, infatti, fu in grado attraverso un sistema di premi e punizioni di addestrare dei cani a riconoscere la differenza tra forme geometriche, in particolare a distinguere il cerchio dall’ovale. Poi portò al limite il suo esperimento, mostrando ai cani delle forme che mutavano progressivamente da cerchio a ovale e viceversa: i poveri cani, non riuscendo più a compiere una scelta in modo sicuro e temendo la crudele scossa elettrica punitiva (eh si, purtroppo all’epoca i metodi erano quelli), mostravano delle reazioni complesse che andavano dall’isolamento, che potremmo definire depressivo, fino a reazioni aggressive verso gli altri cani o verso la gabbia o addirittura verso se stessi. Pavlov aveva di fatto indotto nei suoi cani quella che all’epoca venne definita nevrosi sperimentale.

Non è dissimile da ciò che accade a ciascuno di noi quando subiamo la crudeltà dell’ambiguità, che ci viene propinata sotto forma di comportamenti contraddittori e comunicazioni poco chiare: parole di rifiuto accompagnate da carezze, ammiccamenti di complicità seguiti da rimproveri, rassicurazioni sui livelli di prestazione richiesti condite da biasimi sul risultato poi ottenuto.

La lista di esempi potrebbe essere lunga e invariabilmente ci troveremmo a fare i conti con le forti reazioni emotive delle povere malcapitate vittime, che subiscono il capo esigente ma sbrigativo e confuso, oppure il genitore predicante e mal razzolante, oppure l’amante presente ma evitante. Persone che spesso non si curano, come dovrebbero, di offrire, ad esempio, informazioni esaustive e coerenti, oppure di comportarsi realmente secondo i dettami morali a cui fanno riferimento.

L’impossibilità della scelta che deriva dall’interagire con queste persone produce in noi un misto di sentimenti che non ci rende diversi dai poveri cani di Pavlov. Però, al contrario di loro, fortunatamente possiamo pretendere più chiarezza, più informazioni, più coerenza perché non siamo imprigionati in una gabbia. 

Sempre che quella gabbia non sia nella nostra testa, ovviamente.

 

Daniele Baron Toaldo

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